Dai sobborghi parigini a “Player of the Year”: Riyad Mahrez entra nella storia della Premier

Se cresci in un sobborgo a nord di Parigi con un alto tasso di povertà e poco da offrire, non è facile emergere. Ne sei consapevole.

Se a diciassette anni tutti ti dicono: “Sei troppo gracile, ti mangeranno in campo”, sai che le difficoltà saranno tante e che probabilmente non arriverai ad alti livelli.

Se in ventisette mesi passi dalla Ligue 2 alla Championship e poi diventi il miglior giocatore della Premier (e stai per vincere uno scudetto), credi sia un sogno, non la vita reale.

Se poi sei anche l’unico africano nella storia del campionato più ricco – e bello – del mondo e il primo del Leicester, allora sì, vuoi continuare a sognare. Ma è realtà.  Sì, svegliati pure Riyad, non c’è nulla di male. Sei il migliore, non è uno scherzo.

Quando ho appreso che Riyad Mahrez aveva vinto il PFA Players’ Player of the Year, devo dire la verità, mi sono emozionato. E non poco. Gerrard, Cristiano Ronaldo, Giggs, Rooney, Bale, van Persie, Suarez ed Hazard, sono questi i nomi dei vincitori nell’ultimo decennio. Leggendoli si percepisce ancora di più l’impresa di questo ragazzo. Il primo del suo continente a farcela. Nemmeno Drogba e Yaya Touré erano arrivati a tanto (e qui qualche domanda andrebbe posta).

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Diciassette gol in trentaquattro presenze, doppia cifra anche per gli assist: ben undici. Numeri significativi per un esterno di centrocampo al suo secondo anno nella massima serie inglese. 179 centimetri, fisico esile ed un’eleganza che solo i grandi hanno. Dribbling, finte, velocità, colpi di tacco. Ma mai stucchevole: è tra i più decisivi nei campionati più importanti d’Europa.

Quel modo di accarezzare il pallone, poi, rende il tutto ancora più bello. Sembra sempre di non potercela fare, ma supera sistematicamente gli avversari. Con leggerezza. Come birilli. Per poi scaraventare in rete lo stesso pallone che prima aveva accarezzato. Precisione e potenza a dispetto dei suoi sessantuno chili. Un tiro che non t’aspetti.

Classe ’91, ma non esploso subito. “Se l’anno scorso qualcuno mi chiedeva al massimo una foto o un autografo, ora vengo subito circondato”, spiega.  La sua storia è molto particolare. Nato a Sarcelles, comune di sessantamila abitanti a nord della capitale francese, a quindici minuti circa di treno dalla Gare du Nord di Parigi. La “Piccola Gerusalemme”, è così che la chiamano. Il motivo? È un mosaico di nazionalità e culture, ma soprattutto di religioni. Ebrei (oltre venti sinagoghe), Musulmani ed infine Cristiani. Africani, indiani, turchi, mediorientali. Clima non sempre tranquillo e condizioni economiche difficili.

Papà algerino, madre marocchina, tre cittadinanze ed un quarto paese – l’Inghilterra – che l’ha consacrato calcisticamente. “Je suis un algerien”, ci tiene a far sapere. Suo padre, scomparso qualche anno fa, è stato la sua forza, colui che l’ha spinto a superare i suoi limiti. E questo, probabilmente, è il suo modo per ringraziarlo. Sì, perché anche se dopo una stagione del genere fa strano, i limiti Mahrez li ha avuti e l’hanno frenato nella parte iniziale della sua giovane carriera.

Cresciuto tra le strade del suo paese natale, nel 2009 approda al Quimper Cornouaille, club dilettantistico transalpino. Riyad non cresce, è piccolo e gracile. In pochi credono in lui. Tra quei pochi c’è però il Le Havre, club della serie B francese, dove rimarrà per quattro stagioni.

Nel gennaio del 2014 il Leicester lo acquista per circa quattrocentomila sterline. Poco più di mezzo milione di euro. Un affare. Poi la chiamata che gli cambia la vita: la Nazionale algerina. L’esordio a maggio e la convocazione per il campionato del mondo in Brasile. Un risultato inaspettato, anche se scenderà in campo soltanto una volta – contro il Belgio – per circa settanta minuti.

Dalla periferia parigina alla lotta scudetto in Inghilterra in pochi anni, passando per il Mondiale e il sogno Barcellona, dove potrebbe finire l’anno prossimo. “Mahrez non ha prezzo”, ha più volte ribadito Ranieri, il suo mentore, un altro uomo a cui deve tanto. “Mi ha permesso di credere nelle mie capacità tecniche e ora mi piace sempre provare a fare la differenza e prendermi dei rischi”.

Ma il suo nome ormai è sulla bocca di tutti e certi treni passano una volta sola, come quello del Leicester due anni fa. Il suo, però, non è passato per caso. Se l’è conquistato con gli artigli e la determinazione, l’ha guidato cambiando rotta, portandolo sul binario giusto, quello del successo.

Il simbolo di una squadra operaia e divertente, l’esempio per chi si sacrifica ed insegue un sogno. La storia di un talento non sprecato, ma valorizzato e finalmente sbocciato. Chapeau Riyad, Algerian gift to Leicester.

Andrea Gagliotti

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