Siniša Mihajlović, il Sergente venuto dall’Est

Il 22 marzo del 2013, in Croazia, precisamente allo stadio Maksimir di Zagabria, si è giocata una partita di calcio valida per le qualificazioni ai Mondiali del 2014. Ma quella che si è giocata non è stata una partita come tutte le altre. È stata una partita intrisa di significati che abbracciano più sfere sociali: ovviamente quella sportiva, ma anche quella bellica e, soprattutto, politica. La partita in questione era Croazia-Serbia. L’ultima volta che le due Nazionali si erano affrontate in Croazia era l’ottobre del 1999 e la Serbia ancora si faceva chiamare Jugoslavia. In quella partita c’era un calciatore poi diventato famoso sia dentro che fuori dal campo, il suo nome è Siniša Mihajlović e, quando scese in campo, in curva apparve uno striscione con scritto «Vukovar 1991».

LA BATTAGLIA A BOROVO SELO, VUKOVAR – Ma perché questo striscione? Perché «Vukovar 1991»? Che cosa potrebbe mai significare? La risposta sta in un’altra partita: finale di Coppa di Jugoslavia fra Hajduk Spalato, squadra croata, e Stella Rossa, squadra ora serba ma all’epoca dei fatti appartenente alla Jugoslavia. Anche in quella partita c’era Mihajlović e il valore simbolico di quel match lo ricorderà per tutta la vita. Infatti all’incirca una settimana prima della finale ci furono i primi scontri fra esercito jugoslavo e croati. In particolare fu colpito il villaggio di Borovo Selo, a Vukovar, luogo in cui è cresciuto Siniša. Tutto nacque dal tentativo di alcuni poliziotti croati di sostituire una bandiera jugoslava con una della Croazia. Ovviamente gli jugoslavi insorsero e si venne a creare una sanguinosa battaglia che portò a decine di morti. A Borovo Selo si trovavano anche i genitori di Mihajlović, la madre croata e il padre serbo, ma la battaglia interruppe le comunicazioni fra il villaggio e il resto del mondo così Sinisa non ebbe notizie dei suoi famigliari per alcuni giorni.

L’AMICIZIA CON ARKAN – Ma torniamo alla finale di Coppa di Jugoslavia. La partita è sentitissima e Mihajlović  ha un battibecco con un tale Igor Štimac, difensore dell’Hajduk, che, avvicinandosi a Siniša, gli dice in faccia «Prego Dio che i nostri uccidano tutta la tua famiglia a Borovo»Mihajlović ovviamente perse la pazienza, diede vita ad una reazione furiosissima tant’è che tempo dopo dichiarò che avrebbe potuto ucciderlo a morsi se non l’avessero fermato. Fortunatamente la famiglia di Siniša venne trovata e portata in salvo da Željko Ražnatović, ultras della Stella Rossa, che anni dopo divenne un criminale conosciuto con il nome di Arkan. Nonostante la fedine penale sporca, Arkan resterà sempre un amico di Miha per ciò che ha fatto per lui e Siniša, per rispondere alle numerose critiche piovutegli addosso che lo accusavano di avere un’amicizia con un criminale, con la sua caratteristica schiettezza, giustificherà i crimini di Arkan dicendo che «in una guerra civile non esistono i buoni e i cattivi».miha-arkan

IL NUOVO INCONTRO CON ŠTIMAC – Ma, adesso, torniamo a Zagabria. Ricordate? Si gioca a partita di qualificazione ai Mondiali Croazia-Serbia e, scherzo del destino, gli allenatori delle due squadre sono Sinisa Mihajlović per la Serbia e, per la Croazia, proprio lui…Igor Štimac. Una partita nella partita. A dire il vero, Mihajlović ha mostrato una certa signorilità nell’esprimere la volontà di “riappacificarsi” con il suo nemico invitandolo a bere qualcosa ma Stimac, in modo abbastanza arrogante, ha declinato l’invito sostendo che mai avrebbe potuto bere con lui. Prima della partita i due si salutano con un abbraccio, uno di quelli finti dettato dalle circostanze, dall pressioni dell’opinione pubblica, e questo è abbastanza paradossale per due uomini dell’Est che, in genere, vanno dritti per la loro strada. Purtroppo per Siniša, quella partita terminerà con la vittoria della Croazia per 2 a 0 ma sancirà l’inizio della carriera di allenatore del Sergente Siniša.

IL SINISA CALCIATORE… – Siniša Mihajlović  è stato uno dei calciatori più amati dalle tifoserie ma allo stesso tempo più odiato. Il perché è semplice da capire. In campo era uno che dava tutto, ci metteva la grinta, l’anima, sarebbe stato disposto a morire in campo per i suoi compagni. Odiato, invece, perché è stato protagonista di alcuni “tradimenti”: l’aver militato prima nella Roma (anche se per un breve periodo) e poi nella Lazio (dove ha fatto la storia); oppure il fatto di aver militato nell’Inter e poi essere passato – da allenatore – sulla panchina del Milan, nonostante avesse dichiarato pubblicamente che mai sarebbe entrato a far parte della famiglia rossonera. Mihajlović, in campo, era famoso per il suo sinistro magico e, particolarmente, per i calci piazzati. Su dieci punizioni almento otto erano dentro, ma non dentro nel senso che prendeva la porta e come andava andava, erano tutte dritte all’incrocio dei pali con una potenza e precisione da mettersi le mani nei capelli. Sembra incredibile ma negli anni della Stella Rossa, il Dipartimento di Fisica dell’Università di Belgrado studiò i tiri di Miha arrivando a stimare una velocità di calcio di 165 km/h. Un’autentica macchina spara palloni.sinisa-lazio

…E QUELLO ALLENATORE – Anche il Siniša allenatore è di tutto rispetto. La Sampdoria, la Fiorentina, l’attuale Torino e prima ancora il Catania con il Sergente in panchina hanno ottenuto e stanno ottenendo (nel caso del Toro) risultati ben al di sopra delle loro aspettative. E poi, le conferenze stampa e le interviste in generale di Mihajlović sono uno spettacolo. La sua lucidità, la sua totale assenza di retorica, la schiettezza ne fanno uno degli allenatori più amati fuori dal campo. SinišMihajlović è un uomo molto controverso. Innanzitutto è diventato uomo molto prima rispetto all’andamento naturale delle cose, ha vissuto sulla propria pelle le atrocità di una guerra poi non troppo lontana dai nostri giorni, ha reso felici tifoserie che poi ha “tradito”, è stato l’incubo di barriere e portieri ed ha avuto molti battibecchi, anche accesi, con alcuni dei suoi giocatori. Ma non ci si può far nulla, SinišMihajlović è così, prendere o lasciare. E noi lo prendiamo così com’è.

Giuseppe Gerardi

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