Coman, un amaro rimpianto sulle note Champions

La gioia, la speranza, e poi il rimpianto, amaro, pungente, che non ammette risposte. Ossimori, condizioni diametralmente opposte, ma spesso in grado di intersecarsi in un unico disegno. L’ordinario nella quotidianità e così anche nel calcio dove di certo non fa eccezione quel groviglio di emozioni che lo sport più amato e seguito al mondo è in grado di suscitare, regalare, raggiungendo l’epos nella sua essenza più pura. Tutto dipinto nella battaglia degli ottavi di ritorno di Champions League all’Allianz Arena, dove la Juventus è stata costretta, suo malgrado, a capitolare dopo oltre un’ora di calcio a livelli entusiasmanti, vedendo scivolare tra le dita un’impresa per larghissimi tratti meritata.

Una beffa, appunto, viva nelle giocate del numero 29 dei bavaresi, l’arma in più di Pep Guardiola nel risollevare una gara compromessa. Un rullo a battere sulla fascia, Kingsley Coman, forsennato, imprendibile. Ritmo e gamba troppo fluidi, in quell’incontenibile naturalezza, per un gruppo, quello di Max Allegri, alla lunga stremato dai ritmi incessanti di una gara vissuta per larghissimi tratti da protagonista. Decisivo, ben piantato sulla catena di destra, con lo scopo, sempre raggiunto, di affondare nel vivo ammansendo, colpo su colpo, i ripiegamenti di Evra ed Alex Sandro. Missione compiuta, con le stimmate da Mvp dell’incontro bene in evidenza: al fulmicotone ed allo stesso tempo elegante il recupero a propiziare la rete di Lewandoski. Dolcissimo, con il contagiri, il destro che illumina, come un arcobaleno, l’area e serve lo stacco di Muller per il pari. Un antipasto alla portata finale, un mancino delizioso, preparato con dovizia, che non lascia scampo a Buffon e chiude i conti. Tre lampi abbaglianti in poco più di un’ora a disposizione, poi il resto, mettendo in tavola il meglio del proprio repertorio. Prendendosi il Bayern Monaco e la ribalta da titoli e prima pagina. Una notte da sogno, una notte da Champions. Ed il rimpianto, non solo legato al risultato, è lì, come fil rouge, perché Madame quel gioiello, forse ancora grezzo ma dal potenziale ad oggi solo accennato sotto gli insegnamenti di Herr Pep, l’aveva tra le mani.

Nato a Parigi nel giugno del ’96, dopo i primi calci nel Moissy-Cramayel vede a nove anni aprirsi le porte del PSG. Nel club capitolino affronta con personalità e talento tutta la trafila delle giovanili, stupendo anno dopo anno, giocata dopo giocata. Giocatore offensivo totale, ambidestro, in grado di svariare su tutto il fronte d’attacco, innata capacità di calcio e un passo felpato capace di mutare in fulmineo, nel lungo e nel breve, fuori dal comune. Il pallone, inoltre, oltre che accarezzarlo è in grado di farlo correre, al posto e nel modo giusto, con una visione di gioco in grado di deliziare anche i palati più fini. Qualità straordinarie, che non possono che rappresentare un trampolino verso il calcio che conta, bruciando ogni tappa, quando ormai è già per tutti The King. Un incanto nelle Next-Gen Series così come in patria, troppo per non destare l’attenzione di Carlo Ancelotti, che lo lancerà verso l’esordio contro il Sochaux il 17 febbraio del 2013. Uno scampolo di gara, tre minuti, che resteranno da record. Il più giovane esordiente del calcio transalpino a 16 anni e 8 mesi. Poco più di 180 minuti in cui comunque mettersi in mostra, sciorinare la propria stoffa, giusto per chiarire lo status quo. Un anno da sogno, il 2013, quello in cui si spalancano le porte del grande calcio e con la conquista del Titì d’or, l’alloro riconosciuto al maggior talento del calcio francese.

La strada è tracciata, i numeri ed il pedigree del parigino ormai sul taccuino di ogni top club europeo, il primo contratto professionistico al Parco dei Principi però tarda ad arrivare e l’occasione del colpo a zero è allettante, come non potrebbe. Tanti i club interessati, la crème del calcio che conta: dal Bayern all’Arsenal passando per le due di Manchester, ma in una totale linea di continuità con il colpo Pogba, è il dinamico duo Marotta-Paratici a spuntarla e a portarlo all’ombra della Mole. L’approdo e l’impatto con il calcio italiano dopo dieci anni di Psg, ed un retaggio all’apprendistato che si traduce in ventidue presenze in tutte le competizioni, un goal – al Verona in Coppa Italia – e due assist – Parma e nella parata Scudetto contro il Napoli, entrambi allo Stadium – distribuiti in 829′ giocati. L’esordio in campionato contro l’Udinese, l’agosto scorso, l’ultima presenza in bianconero, fino allo spalancarsi della tentazione Bayern: prestito biennale e riscatto a 28 mln. Un esito trascritto in ragioni di bilancio e ricchissime plusvalenze che soverchiano il desiderio di puntare sul talento francese. Decisiva, nel caso, anche la volontà del ragazzo, allettato dall’esperienza in Baviera, come biasimarlo. Quello bavarese più di un club è un’icona, dalla società alle strutture, fino allo staff tecnico. Il confronto quotidiano con veri e propri totem del mondo del calcio dai quali attingere e imparare. La stima di Guardiola è totale e ben riposta, fotografata nelle 24 presenze tra Bundes e Champions, impreziosite dal bottino di 6 reti e 11 assist. L’apoteosi mercoledì, nel momento più difficile, ad un passo dal baratro e con ogni singolo pallone dal peso difficile da immaginare. E con un epilogo a lieto fine, nel più classico dei clichè con l’ex squadra come vittima sacrificale. Un percorso lineare anche con i bleus, protagonista in tutta le trafila delle selezioni francesi fino all’esordio, nella notte dello sgomento, con la Nazionale maggiore. Ventuno minuti allo Stade de France, contro la Germania, in un contesto dove il rettangolo di gioco scomparve al cospetto dell’ombra di orrore, dolore e sgomento che colpì Parigi, ferendola a morte, quel 13 novembre del 2015.

Coman e Madame, da gioiello a giustiziere. E quel rimpianto a riproporsi in sequenza, come filo conduttore e con 28 milioni di motivi ad addolcirne il sapore. Una cosa è certa, il fantasma di un nuovo Henry pungola e pungolerà la dirigenza bianconera, soprattutto dopo l’ultimo, nefasto, incontro. Del resto il futuro è lì, placido, ad attendere le scorribande del non ancora ventenne parigino. C’è un finale di stagione da affrontare, ritagliandosi uno spazio sempre maggiore. E poi un crescendo, da giugno, l’occhio diretto e per nulla nascosto a Euro 2016. L’Europeo di casa, parata di stelle e una voglia di emulare, perché no, proprio Titì. Al ritorno in Baviera, ironia della sorte, ci sarà Carlo Ancelotti ad attenderlo, il tecnico di Reggiolo, che per primo scommise sul suo talento. Pronto a diventare The King, stavolta per davvero, tra i grandi del calcio.

Edoardo Brancaccio

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