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Vivere ogni giorno come fosse una finale

La normalizzazione di un trofeo forse potrebbe essere una svolta radicale nella mentalità colletiva. Immaginate se tutti, ogni giorno, avessero la possibilità di ricevere un trofeo. Al termine di una routine costante che, altrimenti, rischierebbe di divorare l’essere umano: caffè, doccia, lavoro, bar, casa, letto. E prima di addormentarsi, prima di ripetere tutto all’indomani, s’avvicinasse un delegato della Uefa o della Fifa. “Ecco a lei”: medaglia, trofeo. Alzato al cielo insieme alle braccia.

“Ho trionfato perché sono il miglior genitore della giornata”.

“Ho trionfato per aver studiato cento pagine per l’interrogazione”.

“Ho alzato la Coppa al cielo perché ho superato l’esame, perché ho preso la patente, perché il mio capo mi ha fatto i complimenti, perché mio figlio ha detto la sua prima parola”.

Sì, si potrebbe vincere un trofeo ogni giorno.

In genere, una coppa alzata al cielo è il coronamento di un percorso più o meno lungo. E invece no. Immaginate di normalizzarlo. Però con i soliti sacrifici della giornata, che ti spronano a migliorarti ora dopo ora per alzare una coppa più grande, più lucente, più soddisfacente.

Mentalidad ganadora, direbbero in Spagna. Dalle parti di Madrid. Dove l’emblema della vittoria l’hanno reso pane quotidiano, dolce e alla portata di tutti. Vincere, non partecipare. Essere protagonisti della propria vita e non semplici attori travolti dall’ingerenza degli eventi.

Il Real Madrid ha scelto questa vita quando ha visto la luce nel lontanissimo 1902. L’ha imposta ai discendenti che hanno preso le redini del club, che hanno vestito la gloriosa camiseta blanca. Di generazione in generazione. Di Puskas e Di Stefano in Ronaldo e Sergio Ramos.

La mentalidad ganadora inizia a scorrere nelle vene dei blancos fin dal loro approdo in quella realtà magica, quasi dorata. Ed è una tendenza che negli ultimi anni s’è erta a legge quasi inconfutabile: il calcio è quello sport dove si gioca in 22 e alla fine vince il Real Madrid.

E sì, la vittoria è una normalità alla Casa Blanca. Ogni giorno, un Casemiro si alza e sa che dovrà sgomitare con le sue sole forze per conquistare la mediana del Real. Ogni mattina Luka Modric si reca al centro d’allenamento con l’intenzione di dimostrare di meritare la maglia numero diez. Sono questi i piccoli dettagli che portano un individuo al trionfo

Zidane s’è svegliato una mattina da allenatore del Real Madrid. Un po’ per caso. “Fino al termine della stagione, poi si vedrà”. Ha vinto due Champions alla guida dei Galacticos. Siamo tutti un po’ Zidane, quando ci viene affidato un incarico che può spaventarci per la grandezza. “No, non sono all’altezza”: un pensiero che sarà balenato anche a lui, campionissimo del calcio mondiale, alla prima esperienza da allenatore. Poi ha sollevato sei trofei e altri due potrebbe vincerli entro la fine dell’anno. Ha cambiato la propria vita in pochi mesi, Zinedine.

E ha battuto anche lo United di un altro specialista delle finali: Mourinho. Il suo Manchester ha tenuto botta ed è rimasto in partita, ma la sensazione è che la Supercoppa Europea stesse già scivolando verso le mani dei giocatori galacticos.

Elementi abituati a palcoscenici che ad altri potrebbero provocare capogiro. Marcelo, Sergio Ramos, Ronaldo, Modric, Benzema e Bale si alzano la mattina con la consapevolezza di poter vincere, presto o tardi, un trofeo. Immaginate se potesse capitare anche alle persone normali.

Immaginate di vivere ogni giorno come se fosse una finale.

Vittorio Perrone

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