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La filosofia del Contismo nel capolavoro azzurro

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Il salto sulla panchina è l’emblema. Della vittoria con la Spagna, ovviamente. Quando la felicità invade il tuo corpo, la tua mente non ne risponde. E allora la gioia si libera irrefrenabile: la soddisfazione per aver battuto la Spagna, in fondo, è troppa per contenerla in un “teniamo i piedi per terra”. A quello ci penseranno dopo, gli azzurri. Nel frattempo, godiamo. Anzi, godemos. Perché il gigante iberico è crollato sotto i colpi della macchina di Antonio Conte: con alma y corazòn, guarda caso gli ingredienti della scalata di Simeone e del suo Cholismo, uno stile di vita ancor prima che di gioco.

Ecco, fate largo al Contismo. Stile di vita e filosofia allo stato puro applicata al giuoco del calcio. L’aufheben (superare e conservare) hegeliano di quello che il buon Simeone ha inculcato ai suoi colchoneros. Superare, sì. Anzi, sublimare: perché a differenza del buon Cholo, Conte è partito alla volta della Francia con una squadra priva di fuoriclasse, con la convinzione di essere inferiori persino alla Svezia e di dover tornare anzitempo nel Belpaese. E invece no: il viaggio di ritorno, per ora, può aspettare.

Più che spagnola, quella di Conte è una mentalità “italianaccia”: pallone agli avversari, forza fisica, pressing matto e forsennato ad ogni portatore di palla. E poi? Beh, siamo italiani: poi si riparte. Sfruttando ogni spazio, ogni distrazione, ogni valutazione errata di chi ci sottovaluta. Goal, e poi a difendere il risultato: è il Contismo, è l’Italia, è quello che il Cholismo ha riportato in auge e che invece il sergente Antonio ha perfezionato, rimodellato come un mastro artigiano. Applicandolo, soprattutto, a mezzi tecnici inferiori a quelli dell’Atletico (ancora oggi qualcuno in Francia si chiede chi sia Eder) e in un tempo estremamente ridotto. Insegnare dei meccanismi così perfetti a una squadra apparentemente raffazzonata all’ultimo minuto è un’arte per pochi: tutti i 23 della spedizione, se chiamati in causa, sanno cosa fare. Chiedete a Insigne per conferme. E’ un corpo unico, un’anima sola che si articola, però, in 46 gambe. 

Un capolavoro tattico che forse non permetterà all’Italia di tornare in patria da campione, ma che ha ribadito un concetto estremamente importante: noi siamo la storia del calcio, il tricolore e questo magico sport si fondono armonicamente. Perché nelle competizioni importanti c’è da combattere e nessuno sa farlo come gli italiani, specialmente quando si trovano con le spalle al muro. Ecco, c’è chi parla, profetizza, si vanta dei suoi successi, sfoggia campioni da 120 milioni ed esalta golden generations varie, e c’è chi, invece, preferisce i fatti. E nel frattempo continua a insegnare calcio. E’ il Contismo, signore e signori.

Vittorio Perrone

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