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Real Zaza: andata e ritorno di un tamarro a caccia di gol e certezze

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Lo avevamo perso lì, in quella rincorsa beffarda che ha fatto il giro in tutto il mondo. Simone Zaza, classe ’91, dalla Basilicata con furore, una gavetta nel calcio di provincia che alla fine ti porta lassù in alto, dove niente e nessuno può guardarti in basso. Lo dicevano tutti che era un fenomeno, che aveva dei colpi eccezionali, se solo… aggiustasse quel carattere così poco umile. Potresti imparare di più, potresti essere più forte, migliore di quanto puoi immaginare.

La Juventus come tappa più alta della carriera: con gente come Morata, Dybala, Llorente e Mandžukić, puoi solo imparare a diventare un campione da copertina. Dopo esserti sporcato le mani nella Lega Pro a Viareggio, fatto stropicciare gli occhi ad un pubblico più “mediatico” nell’Ascoli in serie B, e il salto nei grandi con quel Sassuolo che non finirà mai di stupire. Puoi solo essere tra i più grandi, se poi anche la nazionale di Conte ti mette lì, davanti a tutti, aspettando il tuo colpo da magia. C’è però un problema: la panchina.

Nell’anno in cui deve consacrarsi, Zaza passa tanto tempo in panchina: dicono che è uno spezza partita, uno che risolve la situazione quando tutto sembra perduto. Tutti si ricordano quello Juve-Napoli, in cui decide ti fare di testa sua, come solo un genio sregolato può fare: la prova da fuori, la deviazione è vincente, la Juve è vincente. E dopo arriva la Francia, dove la nazionale si gioca gli europei. La “coppia ignorante” Zaza e Immobile se ne sta buona in panca, per Simone giusto qualche minuto con la Svezia e una scialba e inutile partita con l’Irlanda.

Bordeaux, un colore, una città, l’inizio e la fine di ogni cosa. Zaza entra all’ultimo minuto al posto di Chiellini, deve fare una sola cosa: metterla dentro ai rigori. Il suo però, è uno dei momenti più tragicomici della storia italiana (almeno quella calcistica): una rincorsa ridicola, lenta, che finisce col tiro sparato nello spazio vorticoso ed inconcludente dell’inconscio umano. L’Italia esce, la Juventus lo silura al primo offerente, quel West Ham sempre pronto a fare bene in campionato, salvo poi sciogliersi con l’Astra Giurgiu. Zaza ci mette anche del suo per essere in nomination tra i peggiori acquisti della storia della Premier, gli hammers sono catafratti di terrore all’idea che resti dopo gennaio.

Valencia, una città dal carattere forte e deciso, dove tutto può essere riciclato, dove un fiume può diventare un parco serpentino, dove le anime del centro storico e del moderno lungomare si fondono dando vita ad un luogo paradisiaco per gli umani; un clima ed una vitalità capaci di rigenerare da mille fatiche. Per quanto riguarda il calcio invece… Valencia vive di ricordi: Kily Gonzales, Aimar, Claudio Lopez… lontani anni luce dal 15° posto in classifica. E’ qui che arriva Zaza, dopo l’esperienza lampo di Prandelli, altro scottato dalla nazionale italiana.

Gli servono quattro partite per ambientarsi, poi colpisce: la prima vittima è l’Athletic Bilbao, dove per l’emozione si mette a piangere. Oggi invece, a piangere è il Real Madrid, sotto al quarto minuto con un gol dei suoi: stop, giro, tiro al volo, e in colpo solo si fa beffe di Sergio Ramos e Keylor Navas, che niente possono fare per contrastarlo. E’ troppo presto per dire se è tornato, è troppo tardi per notarlo: il bomber ignorante, tamarro e sregolato, è ancora in gioco.

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