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Lionel Messi, il più grande di tutti

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“Quando feci il provino per il Barcellona mi fecero palleggiare, dribblare e tirare. Mi dissero “Basta così” quasi subito. Per non correre rischi, mi fecero firmare il contratto al volo, su un tovagliolo di carta”.

Queste sono state le parole di Lionel Messi a proposito del suo provino per il Barcellona. La storia di Messi ha dell’incredibile: inizia a giocare all’età di quattro anni, non si ferma mai. Dorme con il pallone e lo considera quasi un essere vivente, l’amico più fidato. Tutti nel quartiere di Rosario, dove Messi è cresciuto, ricordano questo piccoletto che giocava con quelli più grandi di lui rendendoli ridicoli. Messi corre, dribbla, segna, illumina i campi da calcio in terra battuta della patria del fùtbol. Ma non è tutto rose e fiori. All’età di undici anni Messi non cresce più: ipopituitarismo, una patologia ormonale che impedisce lo sviluppo osseo, Messi è destinato a rimanere un nano. Sarebbe la fine: il padre è operaio e la madre una donna delle pulizie, la situazione economica dell’Argentina non è delle migliori, sono gli anni della crisi e la fame si sente, la famiglia Messi è numerosa e i guadagni sono pochi. Il calcio era l’unica salvezza. Jorge Messi, il padre di Leo, lo sapeva bene, sapeva che il figlio aveva un talento fuori dal normale, sapeva che poteva diventare il più grande di tutti e prova l’impossibile. La cura ormonale per il trattamento dell’ipopituitarismo costa all’incirca 900$ al mese, cifra improponibile per Jorge. Allora, Messi senior chiede al Newell’s Old Boys (squadra in cui militava Messi) e al River Plate (interessato a Leo) di pagare le cure per il figlio. La risposta è una doccia gelata: no, non possiamo.

Ma quella della Pulga è una storia quasi perfetta e quindi l’epilogo non poteva essere questo. Il caso volle che la madre di Messi, Celia, avesse un cugino in Spagna, precisamente in Catalogna, in una cittadina a pochi passi da Barcellona. I Messi partono per l’Europa e Leo incanta tutti durante il provino tant’è che, come rilasciato dallo stesso Messi nell’intervista sopracitata, l’osservatore del club blaugrana fa firmare simbolicamente un contratto al padre su un tovagliolo di carta. Sul “contratto” c’era scritto che Messi non doveva essere visionato da nessun altro club per nessuna ragione al mondo. E allora il piccolo Leo si trasferisce in Spagna. I primi tempi sono devastanti: gli manca l’Argentina, la famiglia, il suo quartiere, la sua casa, i suoi amici, il suo campo da calcio. Non è facile per un bambino abbandonare tutte queste cose in un colpo solo.

Messi a Barcellona stava sempre a casa, usciva solo per gli allenamenti e per le iniezioni ormonali in ospedale. Ma c’era il calcio e quello bastava. Le cure ormonali erano pesanti: Leo soffriva, vomitava ogni giorno, era stanco. Ma non doveva far vedere per nessuna ragione al mondo che stava male. Se i medici del Barcellona avessero notato questo, la carriera di Messi si sarebbe conclusa ancora prima di iniziare perchè l’avrebbero rimandato in Argentina in quanto non sopportva le cure. Ma col tempo si abitua e la terapia inizia a dare i suoi effetti: a undici anni Messi era alto 1.27, adesso, a ventinove, è 1.70. Il piccoletto ha un carattere particolare: è timido, non parla mai e tende ad isolarsi. Questo porta ad un difficoltoso inserimento nello spogliatoio delle giovanili del Barcellona. Lo guardano tutti non aria sospetta, non ispira fiducia, è senza personalità, “questo è solo tempo sprecato” disse di lui Cesc Fàbregas, compagno delle giovanili. Ma una volta messo piede sul campo da calcio era tutta un’altra storia: poesia, musica, teatro, Messi era tutte queste cose insieme, bastava solo che avesse la palla fra i piedi.

Passano gli anni e ormai Leo si abitua alla vita spagnola, la malattia è alle spalle e migliora anche sotto l’aspetto fisico svilluppando massa muscolare. Arriva l’esordio in prima squadra: il Barcellona dei giganti Deco, Puyol, Eto’o, Ronaldinho. Messi ha solo da imparare e, infatti, lo fa nel migliore dei modi. È la mascotte della squadra, il piccoletto, tutti gli vogliono bene, in particolare Ronaldinho lo tratta come un fratello e Messi prende sempre più confidenza col campo giocando sempre più partite. Arrivano i primi trofei: Liga, Champions League, Messi mostra il suo talento anche se ancora non è l’assoluto protagonista. La sua consacrazione definitiva arriva con Pep Guardiola alla guida dei blaugrana. Il gioco di Pep è perfetto per Messi che gioca a tutto campo: triangolazioni, passaggi veloci, possesso palla, verticalizzazioni. Uno spettacolo. Vedere il Barcellona di quel periodo equivale ad andare al cinema e Messi è l’attore protagonista del film: imposta, dribbla, fa assist, segna ed è autore di giocate che vanno oltre le leggi della fisica.

Oggi, 24 giugno, Messi compie 29 anni e il suo palmarès è composto da un numero imprecisato di trofei: 8 campionati spagnoli, 4 Coppe di Spagna, 6 Supercoppe spagnole, 4 Champions League, 3 Supercoppe UEFA e 3 Mondiali per club. A livello individuale ha vinto ben 5 palloni d’oro. Con la maglia del Barcellona ha collezionato 453 gol e 213 assist in 531 partite.

Un mostro, una divinità, quello che volete. Messi è ciò che più si avvicina a Dio nel gioco del calcio, vederlo giocare è come alienarsi in una dimensione parallela dalla quale non si vorrebbe mai uscire. Le partite in cui gioca Messi dovrebbero durare di più,90 minuti sono troppo pochi. Abbiamo la fortuna di vedere giocare forse il migliore di tutti i tempi. Un giorno potremmo racconatre ai nostri nipoti di aver visto giocare un fenomeno, un extraterrestre, un dio. Semplicemente: Lionel Messi.

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