Il calcio parla cinese

Jackson Martinez, Ramires, Lavezzi, Eriksson, Magath, il Presidente della repubblica cinese che attua un piano per rivoluzionare il calcio, privati che investono fiumi di denaro nelle squadre e 346 milioni di tifosi. Benvenuti nella Chinese Super League. In Asia il calcio sta prendendo sempre più piede e una super potenza come la Cina non poteva di certo rimanere indietro, la svolta vera e propria arriva grazie ad un italiano: Marcello Lippi. Serviva un vincente come lui, con il suo Guangzhou Evergrande che conquista la AFC Champions League, trofeo vinto da un club cinese solamente una volta nel “lontano” 1990.  Le coincidenze sono strane, nel 2013 l’Evergrande sale sul tetto d’Asia in concomitanza con la proclamazione a Presidente della Repubblica di Xi Jinping, grande appassionato di calcio. Grazie a questa serie di eventi si cominciano a muovere i primi ingranaggi e prende forma il progetto che dovrebbe culminare con l’affermarsi del campionato cinese a livello globale.

LA STORIA DELLA SUPER LEAGUE – Il campionato nasce ufficialmente nel 1951, ma non diventerà professionistico fino al 1994, sono bastati circa vent’anni per avere questa evoluzione incredibile. Nel 2004 subisce un’altra modifica cambiando nome e pelle sperando di lasciare indietro gli spettri del calcioscommesse, caratteristica che ha sempre segnato la storia di questo campionato fino a pochissimi anni fa. Il punto più basso viene toccato nel 2012 quando il più grande arbitro cinese, Lu Jun, viene arrestato e radiato dall’albo per aver truccato diverse partite nel corso degli anni, in cambio di un corrispettivo di circa 100mila euro. Il totale declino sembra ad un passo, l’oblio sta per risucchiare uno dei campionati con le maggiori potenzialità grazie al rapporto dato dall’alto numero di tifosi e il capitale da capogiro a disposizione. In un anno cambia tutto, dal picco più basso a quello più alto. Come dicevamo il Guangzhou e il Presidente Xi Jinping cambiano le carte in tavola, il primo raggiunge un successo storico per il paese mentre il secondo progetta un piano studiato nei minimi dettagli che dovrebbe culminare nel 2050 con l’affermarsi della Super League a livello mondiale. Niente più scommesse, si deve investire maggiormente e far leva sulla popolazione, mettere quindi in moto il cuore pulsante di questo sport e dello sport più in generale. Detto, fatto. Sono passati due anni e molti calciatori hanno già fatto le valigie e sono partiti per la Cina, gli investimenti hanno superato quelli dei campionati europei e il numero dei tifosi mette i brividi solo a pronunciarlo: 346 milioni. Come è potuto accadere tutto ciò?

IL PIANO – Bisognava studiare e preparare tutto nei minimi dettagli e in questo la Cina non è seconda a nessuno. Sia per volontà, sia per disponibilità. In tutti i settori è riuscita ad affermarsi nel giro di cinquant’anni uscendo anche dai propri confini: il fenomeno “Cinafrica” dice nulla? Il paese della grande muraglia sta investendo milioni su milioni nel continente africano, noto per le pregiate materie prime e quindi per la potenza a livello economico che può dare. Questa è un’altra storia, ma rende bene il concetto: quando la Cina investe non è mai per caso. Il calcio non fa eccezione, Xi Jinping ha suddiviso il proprio obiettivo in più fasi: inserirlo come sport nei programmi scolastici, costruire oltre 70mila campi da gioco, aumentare la competitività del campionato fino ad arrivare al 2050 quando (secondo la tabella di marcia) la Cina dovrà essere una potenza calcistica al pari delle nazionali europee e sudamericane. Tutto questo non è utopia, il piano si sta attuando e il notevole sforzo economico fatto pochi mesi fa è la dimostrazione. Per rendere meglio il concetto basta mettere in risalto una differenza sostanziale con la MLS, i giocatori acquistati non sono a fine carriera ma vengono selezionati “accuratamente” per un motivo ben preciso.

ErikssonIL TALENT SCOUT – Il mercato è stereotipato, si pensa in sintesi che si spendano quantità ingenti di soldi senza logica, comprare per comprare. Ipotesi completamente fuori luogo. Nulla è lasciato al caso, ogni giocatore o allenatore acquistato ha la propria funzione da svolgere, che sia per accrescere la popolarità dell’intera Super League o che sia per il valore tecnico che chiunque può apportare alla squadra. Lippi, per esempio, ha portato una team cinese sull’Olimpo Asiatico grazie al suo enorme bagaglio tecnico ed Eriksson e Magath hanno il dovere di fare lo stesso oltre ad importare nozioni propedeutiche all’accrescimento tattico dei giocatori. Un altro dato importante è il numero di stranieri: 88 su 485 giocatori totali, con una media di 5 per squadra. Sempre dati alla mano possiamo dire che viene fatto un innesto per ruolo in modo tale da far migliorare gli altri giocatori ed apprendere da quest’ultimi. Il sistema funziona, nella classifica marcatori compaiono due cinesi nei primi dieci entrambi arrivati a 7 gol in 18 partite giocate. Nel giro di pochissimo tempo hanno messo in piedi una struttura forte su ogni fronte, cosa che dovrebbe far riflettere l’Europa intera dove il numero degli stranieri si aggira intorno al 50% per ogni campionato, praticamente più della metà della Chinese Super League.

IL MADE IN CHINA AVRÀ LA MEGLIO? – Scettici o non, bisogna ammettere ancora una volta che il modello cinese funziona. Muovendosi nell’oscurità e nella non curanza degli altri, in Cina si sta costruendo uno scheletro forte da cui far nascere un campionato che nel corso degli anni potrebbe diventare uno dei migliori al mondo. Come pensava Marx, in modo parafrasato, è lo scheletro a rendere solida la struttura, quindi se solo questi anni stanno portando risultati e stanno rispettando la tabella di marcia ideata da Xi Jinping è necessario cominciare a prendere sul serio il calcio cinese che potrebbe aprire nuovi orizzonti al nostro amato sport.

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