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Giovani Rizzoli crescono: pensavo fosse amore, invece erano ciabatte

Quando si pensa al calcio vengono subito in mente i grandi nomi, i grandi palcoscenici, il pubblico delle grandi occasioni, la stampa pronta alle interviste. La verità è che per arrivare a tutto questo, bisogna prima passare per la gavetta, quella fatta di campi fangosi, squadre dai nomi improbabili, qualche urlone sugli spalti e nessuno che scriverà della partita. E questo vale anche se sei un arbitro, il mestiere più vituperato del mondo.

In contemporanea alla partitissima di Serie A Inter-Juventus, al campo Vigor Misericordia, a due passi dalla Cittadella del Carnevale di Viareggio, si gioca Virtus Poggioletto-Lido di Camaiore, categoria esordienti. Con me l’arbitro della partita, il signor Madeddu della sezione di Viareggio.

Lo “spogliatoio” dell’arbitro

L’ingresso è trionfale: chiediamo aiuto per parcheggiare; nel momento in cui il custode capisce che nella macchina c’è l’arbitro, ci lascia passare, e attraversiamo il gazebo posto all’entrata sotto lo sguardo quasi incredulo dei genitori che stanno guardando la partita: loro hanno dovuto parcheggiare in strada, noi sembriamo delle star, anche se le star non arrivano con una Micra. Arriviamo nello spogliatoio, e il mio compagno di viaggio ha questa esclamazione: “Mai stato in uno spazio così piccolo!”.

Ci sono anche un paio di ciabatte, chissà se sono in omaggio al big match.

Non fa freddo, ma molti sono in giacca. Il campo è in buone condizioni, si vede che siamo ancora ad inizio stagione. I dirigenti portano i tesserini e la distinta all’arbitro, Madeddu controlla che tutto sia nella norma. Arrivano i giocatori, o meglio i ragazzini, che mi fanno sentire incredibilmente anziano: non ho ancora trent’anni, ma quando loro sono nati avevo già imparato (e da parecchio) a guidare la moto.

Arriva il momento della chiama, e l’arbitro, terminato l’elenco della lista, se ne esce con questa frase: “Ragazzi, massimo rispetto, perché non ho voglia di cacchiate”. I dirigenti si guardano un po’ sorpresi, i ragazzi sembrano spaesati; il suo sguardo è quello di chi non ha nessuna voglia di scherzare.

Si potrebbe dire che c’è il pubblico delle grandi occasioni in tribuna: un sacco di mamme e papà pronti ad applaudire i propri figli. C’è pure chi gioca a un-due-tre-stella, lo spazio per giocare è molto ampio.

La partita comincia, ed è un massacro per il malcapitato Virtus Poggioletto: sotto 5-0 dopo i primi 20 minuti di gioco. I guardalinee (dirigenti delle squadre) non alzano quasi mai la bandierina, e l’arbitro fa poco o niente: nessuna punizione, nessun fuorigioco, giusto qualche calcio d’angolo. A fine partita mi confesserà: “Per passare il tempo immaginavo che i gialli fossero il Las Palmas”. I genitori ridono e scherzano, qualcuno segnala il gol di Higuain con estrema convinzione, dev’essere un luminare del calcio.

Scende la notte, si accendono i riflettori, l’inerzia della partita non cambia: i gialli del Lido trovano autostrade di fronte al bistrattato portiere, che porterà a casa il titolo di migliore dei suoi, anche se il risultato finale è da incubo.

11-0.

All’ennesimo pallone perso dei neri, Madeddu fischia la fine, della partita e anche del supplizio del Poggioletto. Sugli spalti si continua a ridere e scherzare, non c’è stato bisogno di urlare per l’arbitraggio. Higuain tiene ancora in vantaggio la Juve, chissà per quanto tempo.

Negli spogliatoi la classica divisione tra la stanza in cui si urla e si gioisce per la vittoria, e l’altra in cui la delusione la fa da padrona; ne viene fuori un vociare molto fastidioso e stridulo.

Il mio compagno di viaggio è pronto, possiamo tornare a casa: in tv c’è il Real Madrid. Un calcio che tutti possono vedere e sognare.

Dario Lombardi

This post was last modified on 19 Settembre 2016

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