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Auguri, Roberto Baggio

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Roberto carissimo,

Il mio nome è Questra e appartengo alla famiglia Adidas. Sono nato nel 1994, in Francia, ma sono stato immediatamente trasferito negli Stati Uniti, non so perché. O meglio, lo so, ma ancora non lo capisco; mi è stato detto infatti che avrei avuto subito l’occasione di essere uno dei palloni in scena ai Mondiali di calcio.

Una mia foto

Fui spedito a Pasadena, dove venni calciato da campionissimi (come il rumeno Gheorghe Hagi) ed eroi sfortunati (come Andres Escobar); vennero poi gli ottavi, dove ancora i rumeni eliminarono l’Argentina di Batistuta, poi la semifinale dove solo una magia di Romario eliminò la Svezia dal sogno della finale. Dopo aver partecipato alla finalina tra gli scandinavi e i bulgari, mi ritrovai lì, per LA partita.

17 Luglio 1994. Ci sono quasi 100 mila persone a guardare questi 22 uomini folli a rincorrersi; da una parte i verdeoro, che mi hanno già calciato; dall’altra gli Azzurri. Gli altri palloni mi hanno detto che tra loro c’è uno che riesce a parlare con noi sfere. “Lo riconoscerai subito“. Non fu difficile, in effetti. Un codino, un passo veloce il doppio rispetto agli avversari e una leggerezza di tocco incredibile.

No, non mi decido a entrare in rete: voglio restare qui ad assistere ad una generazione di assoluti fenomeni disposta a tutto, anche a giocare con questo caldo africano (pardon, americano) pur di sollevare quella coppa che li fa sognare sin da bambini. Si arriva ai rigori, dopo due ore di agonia. Batte per prima l’Italia; dal dischetto va Baresi. “Proprio tu che per tutta la partita mi hai calciato con una forza inaudita? Adesso vedi dove sparisco“, dissi tra me e me, mentre volavo altissimo sopra la traversa. Toccò poi al Brasile, ma Marcio Santos mi spedì sulle mani di Pagliuca; 1-0 Italia, 1-1, 2-1 Italia, 2-2; ricambiai il favore di Santos finendo dritto tra le mani di Taffarel al momento del tiro di Massaro; c’è quindi il sorpasso del Brasile, che conduce 3-2.

Ultimo dei cinque rigori: arriva proprio, lui, Baggio, l’uomo col codino. Estremamente rilassato, mi lascio calciare. Ma all’improvviso mi attanaglia un dubbio: cosa mi resterà di questo giocatore eccezionale, dopo questo tiro? Nulla. Il vuoto. Mi sento mancare l’aria. Devo fare qualcosa per restare, per sempre, nella storia insieme a lui. Che fare? “Perdonami Roberto, anche se non ci riuscirai mai” gli dissi, prima di schizzare appena oltre la traversa e sparire, in mezzo a una folla urlante.

Io ormai sono finito a casa di un collezionista, ben lontano dal tuo più bel pallone, quello d’oro, un anno più vecchio di me. Ma ho avuto modo di sentir parlare di te. Scusami, perdonami ancora, se da quel giorno la tua vita è stata segnata da quel mio “volo”. Poco importa, a tanti ciarlatani, dei tuoi 318 gol coi professionisti, del fatto che senza i tuoi gol l’Italia sarebbe uscita ben prima da quel mondiale, del fatto che se hai vinto poco è solo perché hai preferito essere il primo di tutti che uno tra molti, del fatto che sei stato probabilmente il giocatore più forte che il tuo paese abbia mai conosciuto.

A loro interessa solo che hai sbagliato quel rigore, perché così hanno modo di prendere in giro chi, altrimenti, sarebbe stato inattaccabile. Auguri per il tuo mezzo secolo, campione. Con la speranza di passare altrettanto tempo insieme.

Con sincere scuse, Questra Adidas

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