Ho visto il Leicester

Le emozioni della vittoria della Premier League viste dagli occhi dei bambini.

Il testo:

Ho visto il Leicester. L’ho visto davvero. Ho visto mio padre prendermi in braccio, urlare, stringermi la mano e in un istante eravamo lì, fuori, in piazza. A cantare a squarciagola, tra mille ragazzi e troppi colori.
Ho visto mia madre ridere, e forse un po’ preoccuparsi. Ho visto mio nonno spalancare gli occhi, quasi incredulo, sicuramente innamorato. Che una cosa così non l’aveva mai vista. E giurava, con tanto di mano sul cuore
Ho visto così tanti volti, sentito così tante storie, ammirato così tanti sorrisi. E sì, ho visto pure tanta birra. O almeno credo. Io non l’ho mai assaggiata. Ma se fa diventare così felici, forse un giorno proverò. Magari per festeggiare un altro titolo del glorioso Leicester.
Dicono che qualcuno abbia fatto la storia. Non so con precisione chi, cosa, perché. So che c’è un uomo arrivato da lontano. E che lì, in Italia, qualcosa è andato storto. O forse è stata semplice, beffarda, bastarda sfortuna.
Stavolta però sorrideva, quell’uomo. Era felice. Tratteneva le lacrime, un po’ come babbo dopo il gol di Morgan contro lo United. O come me, dopo il gol di Vardy, quello al Liverpool. Che in cortile ci provo e ci riprovo, ma niente. E non per questo m’arrendo.
No, quel sorriso non era per la birra. Era la soddisfazione di aver scritto una delle pagine più belle del calcio, e di averlo fatto quando non c’era alcun motivo per credergli. Quando anche a casa sua c’era chi pensava fosse già da buttare, come uno di quei giocattoli che mamma ha messo da parte, lì a riposare sullo scaffale lontano in cameretta.
Ho visto il Leicester. L’ho visto anche in piazza. Sulla maglia di mio zio, sulla sciarpa di Tom, nel cuore di tutti. Ho visto il Leicester in ognuno di noi. C’era anche John, il mio compagno di banco. Ci siamo ritrovati subito nella folla, aveva portato anche il pallone e abbiamo iniziato a correre, a giocare, a divertirci.
Papà, in cortile, mi ha detto che mi vorrebbe più Mahrez. E anche un po’ Kanté: perché se non corri, non raggiungi nessun traguardo. E se non ti butti dentro, se non rischi, allora a che serve vivere? Dice che non è soltanto calcio: pare sia una lezione di vita. O almeno lui così mi ha detto.
Io ci spero, in fondo. Un bel gol al King Power Stadium, ecco. Magari lanciato da Drinkwater, con una sponda di Okazaki, rubando il tempo d’inserimento ad Ulloa. Te lo prometto, papà. Spero di renderti orgoglioso come questi ragazzi hanno reso fiero mister Ranieri.
Per ora, mi accontento di superare John, di provare a segnare come Jamie. E perché no, di uscire a testa alta come Kanté.
Ormai non è più una favola. È realtà. Allora sai che c’è? C’è che ci credo. E ora, tra birra, cori e colori, ho capito che nulla è impossibile.

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