Chiamateli conquistadores! Mister Marco Rossi e il suo folle sogno di portare l’Honvéd sul trono dell’Ungheria

“La qualità principale del genio non è la perfezione ma l’originalità, l’apertura di nuovi confini”. Conosco un pugno di critici raffinati convinti che Arthur Koestler, oltre ad essere stato un filosofo troppo sottovalutato per tutto il Novecento, sia il miglior romanziere della storia d’Ungheria. I gladiatori e Buio a mezzogiorno sarebbero l’indizio che porta a pensarlo, l’incipit di questo articolo potrebbe confermarne la regola.

Mister Marco Rossi, piemontese di concetto e bresciano d’adozione – vuoi perché ha esordito in serie A coi granata, vuoi perché i tifosi delle rondinelle ricordano ancora il suo romantico attaccamento alla maglia – è un uomo vero, prima che un ottimo allenatore.

Nel suo camaleontico destino da fluidificante mancino anche la Samp del gentleman Mantovani, e piazze caldissime come Catanzaro e la Campania, senza dimenticare il “Messico e nuvole” dell’America e i wurtsel e crauti mandati giù con l’Eintracht Francoforte.

E poi la vita da coach coi sussulti prosaici di Koestler tatuati nell’anima sportiva: ha scelto di diventare grande in terra magiara, nello stomaco della Budapest irredentista, sulla panca dell’onesto Honvéd, un lustro fa.

Prima di questa scelta, per certi versi accattivante e per altri “ma che sei matto?”, c’è stata la guida tecnica del Lumezzane, della Pro Patria, de La Spezia, della Scafatese e della Cavese (tanto cara ai diavoletti di Milano).

Una carriera diligente quella di Mister Rossi – nome pesantissimo nell’economia del calcio italico – ma evidentemente non apprezzata dagli addetti ai lavori in Serie B e Serie A. E qui la svolta: il viaggio, la speranza, la goduria a volte, la rabbia in altre, la lotta al vertice per la conquista della Nemzeti Bajnokság I (tranquilli, non è un codice fiscale, ma la prima divisione ungherese). L’umile e competente Rossi da Druento potrebbe diventare uno dei nuovi conquistadores del football tricolore: il suo Honvéd è più vivo e famelico che mai. Quando pensiamo ai grandi conquistatori della nostra storia non possiamo non citare i Cristoforo Colombo, i Carletto Ancelotti, i Beppe Garibaldi e i Claudio Ranieri (probabilmente citeremo presto anche Conte), ma se il Dio di eupalla vorrà anche M. R. diverranno iniziali aderenti al club dei vincenti all’estero.

Abbiamo scambiato due amabili chiacchiere ensamble a questo lodevole italiano d’Ungheria, lucidando ricordi e ambizioni tra due forchettate di fave e cicorie e una decina di bocconi di gulas:

Mister se le dico Luigi Ferraris, fai un respiro profondo e chiuda gli occhi, qual è la prima immagine, il primo ricordo che le viene in mente?

“Mi viene in mente la prima partita che disputai da giocatore della Samp, c’era ancora il vecchio presidente Mantovani. Giocammo contro il Piacenza, ricordo che fui sostituito a venti minuti dalla fine e Mantovani venne a farmi i complimenti e questo è un ricordo che custodisco da allora nel cuore”.

Momentaneamente è anche lei un conquistador calcistico italiano, alla stregua dei Conte, Ranieri, Ancelotti e in passato Spalletti, ad esempio, portatori del vessillo di Coverciano all’estero, che sapore lottare per il titolo e farlo fuori dal proprio Paese?

“La cosa che abbiamo in comune è che stiamo lottando per il titolo. Nel caso mio e dell’Honvéd è una sorta di miracolo sportivo, forse anche di più di quello che è accaduto col Leicester. Sicuramente ci proveremo. Per noi allenatori all’estero il fatto di esserci formati a Coverciano è il denominatore comune”.

Il mondo Honvéd l’ha accolta a braccia aperte, manifestando fin da subito ammirazione per il tuo lungo percorso nel calcio italiano, come fu l’impatto con l’Ungheria, cibo, lingua e qualità della vita?

“A onor del vero, io mi ritrovo ad allenare l’Honvéd dal giugno 2012 in maniera fortuita e occasionale. Incontrai in un ristorante di un mio amico l’allora direttore sportivo del club ungherese Fabio Cordella, che dopo diversi contatti decise di propormi al presidente. Mi è stata data questa opportunità e siamo partiti con il piede giusto andando in testa alla classifica nelle prime sette gare e passando il primo turno eliminatorio di Europa League. Al secondo incontrammo l’Anzhi di Eto’o, semifinalista quell’anno nel torneo e uscimmo fuori. L’ impatto fu positivo dovuto ai risultati, poi devo dire che gli ultras dell’Honvéd mi hanno sempre sostenuto e non hanno mai smesso di farlo…”.

In passato vi furono squadre come il Debrecen a farsi spazio tra le grandi d’Europa, dica la verità, sogna un domani di calcare un grande palcoscenico europeo con il suo sorprendente team?

“Se potessi esprimere un desiderio sarebbe quello di essere un domani nel girone di una squadra italiana e sedermi sulla panchina dell’avversaria, anche per dimostrare a qualcuno che forse mi si poteva dare un’opportunità. Sono contento di aver fatto questa scelta nella mia vita, in Italia ho trovato solo porte chiuse ma per fortuna ho trovato la porta del calcio ungherese aperta, che è ormai da cinque anni che mi stima. Sono diventato il terzo allenatore straniero con più presenze in questo campionato”.

Dalla terra magiara come vede la Serie A? Sta crescendo, magari tornando ai suoi tempi, i mitici anni 90?

“La Serie A è assolutamente nel gota del calcio mondiale. Roma, Juventus e Napoli possono competere vis a vis con ogni squadra europea. Io seguo moltissimo anche la Serie B. In Serie A sono assolutamente affascinato dal modo di giocare del Napoli. È una squadra che per qualità di gioco può competere anche con il Real Madrid e vendere dura la vita ai campioni del mondo nel ritorno. Gioca bene anche la Fiorentina di Paolo Sousa, che noi battemmo in casa uno a zero quando allenava qui il Videoton, e poi ha cominciato a volare andando a Tel Aviv, a Basilea, Firenze e forse ora alla Juve…”.

Che ne pensa della gestione Massimo Ferrero alla Samp?

“Vedere oggi un presidente come Ferrero, che è molto alternativo, stride un po’ con l’immagine dei presidenti della Samp che ho conosciuto io. Ho conosciuto Paolo Mantovani che era il presidente con la p maiuscola per quello che ha rappresentato per la Sampdoria e per quello che ha potuto dare in termine culturali alla città e alla tifoseria blucerchiata. Genova, sponda Samp, era davvero un’isola felice grazie a un presidente come mai ne ho conosciuti. Anche suo figlio Enrico aveva una signorilità non paragonabile, adesso è irriverente paragonare Ferrero a quella dirigenza, poiché l’attuale primo tifoso è un istrione che cattura l’attenzione mediatica”.

Ultima domanda: qual è stato il momento più esaltante della sua carriera, la gioia indelebile, e quale invece la delusione soffocante che probabilmente è ancora viva dentro di lei?

“Da calciatore il momento più bello fu la vittoria del campionato di Serie B con il Brescia e successivamente alla vittoria ricordo che venni accostato alla Sampdoria e alla Juventus sui principali quotidiani sportivi nazionali. Noi facemmo un’amichevole tra il Brescia e il resto d’Europa e ricordo uno stadio Rigamonti gremito in ogni ordine di posto che intonava cori per me chiedendomi di firmare il contratto e restare, è un’emozione che non dimenticherò mai. Mentre fu cocente la retrocessione in Serie B nello spareggio Brescia-Udinese di qualche anno dopo. Da allenatore ebbi un momento di grande sofferenza nella retrocessione che patimmo quando allenavo la Pro Pratia in C1 perdendo lo spareggio nei minuti di recupero contro il Verona. Il momento mio migliore sulla panchina è stato il terzo posto raggiunto con l’Honvéd dopo vent’anni che la squadra non conosceva la gioia del podio…”.

Ma la storia dell’umanità ci insegna come il risultato più grande, se non smetti mai di inseguirlo, a volte sia sorprendentemente dietro l’angolo, invitando gli uomini a credere toujours in una massima potentissima: ad maiora!

Mister Marco Rossi, nel nome di Ferenc Puskàs, non ci resta che farle il più gustoso augurio per le sue imprese future:

Mi vár a közeljövőben Olaszországban a pohár az OTP Bank Liga!

Annibale Gagliani

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