Di Natale: Totò Diabolicus

“Non abbiamo assistito ad una grande partita, ma abbiamo visto un grande giocatore.” Questa è stata la frase che ci dicemmo io e un mio carissimo amico il 17 febbraio 2002. Causa inagibilità dello stadio San Paolo, eravamo a Benevento, stadio Santa Colomba (oggi Ciro Vigorito), ed avevamo appena assistito a Napoli-Empoli, partita di cartello del campionato di serie B 2001-02. La partita, come detto, non fu straordinariamente bella, e viste le poche occasioni create da entrambe le squadre, finì con il risultato di parità: uno 0-0 giusto. Quello che parve oltremodo ingiusto, invece, fu ammirare le magie del numero 10 della squadra ospite, il napoletano Antonio Di Natale, che con il suo talento distrasse tutti gli occhi da Maccarone, che in quel momento era in rampa di lancio ed era perciò l’avversario più temuto. L’ingiustizia risiedeva nel fatto che cotanta beltà calcistica non poteva essere ‘costretta’ in un campionato di serie B, perché la cifra tecnica di questo (non giovanissimo) ragazzo era troppo elevata: passo felpato, stop perfetti, controlli a seguire, tagli micidiali, colpi di tacco, cambi di gioco. E pensare che ‘tutto questo ben di Dio’ andava per i 25 anni e non aveva mai calcato un campo di serie A, cosa che infatti avvenne soltanto l’anno seguente grazie proprio alla promozione dei toscani.

Di-Natale-empoli-aereoplanoLa pena purgatoriale in ogni caso era stata scontata, finalmente il talento di Totò – da lì in poi lo avrebbero chiamato così – riusciva a trovare il suo habitat naturale: la massima serie. Tutto molto bello, molto giusto, ma anche molto difficile. La serie A, per uno che ci arriva tardi, benché meritatamente, non è affatto semplice. E infatti non lo è stata nemmeno per Di Natale, che tra Empoli e Udinese, è stato protagonista di campionati altalenanti. All’ottimo esordio con i toscani (13 gol in 27 presenze) nel 2002-03, infatti, sono seguite quattro stagioni non proprio esaltanti in cui la classe (comunque mostrata) portava con sé il fardello della discontinuità, anche perché gli avversari avevano imparato a conoscerlo. E così, quasi senza accorgersene, Totò arrivava sulla soglia dei 30 anni con un bagaglio pieno più di promesse che di gol. Ma la ruota stava per girare, e la virata decisiva ha una data precisa: la notte tra il 21 e il 22 settembre 2007.

In quella notte che precedeva l’anticipo del sabato Udinese-Reggina, probabilmente Di Natale scese a patti con il diavolo, e in cambio di una quota della sua anima ottenne la sospensione del tempo, al fine di rendere la sua bellezza calcistica immune dall’invecchiamento, per dare al suo talento tutto il tempo necessario per compiersi definitivamente. Ebbene, il momento esatto che sancì l’inizio di questo diabolico incantesimo va individuato nel 62° minuto di quella ‘maledetta’ partita. Accadde che su un lancio dalle retrovie, Totò, con il piede destro, stoppò magnificamente il pallone, e prima che questo cadesse a terra lo colpì nuovamente, sempre con lo stesso piede, indirizzandolo all’angolino basso, lasciando di stucco il portiere, i difensori, i suoi compagni di squadra, gli arbitri, gli spettatori. Lasciò di stucco tutti. Solo fermando il tempo ci si può produrre in una giocata del genere. Prima di lui soltanto Baggio (Juventus-Brescia 2000-01) e Maradona (Napoli-Milan 1986-87) erano arrivati a scherzare il tempo. Certo, va detto che Maradona era proprio il diavolo in persona. Oddio, vuoi vedere che forse è stato proprio lui a… vabbè, meglio non pensarci. Comunque fu una giocata di una bellezza tale da normalizzare l’altro gol che sempre Di Natale aveva realizzato al quarto minuto: un banale pallonetto a girare effettuato quasi dalla linea di fondo. La partita finì 2-0 e suggellò l’inizio della vera carriera del bomber napoletano. 

 

antonio-di-natale1La stregoneria iniziò quindi a produrre i suoi effetti, e li produsse per i successivi 7 anni (fino al 2015), durante i quali Di Natale dismise i panni del giocatore per indossare la toga del giudice, perché si trasformò letteralmente in una sentenza. Nessun portiere è stato risparmiato. Li ha obliterati tutti segnando la bellezza, è proprio il caso di dirlo, di 163 gol in 8 stagioni (dal 2007-08 al 2014-15, media di 20,375 gol a stagione che gli consentì di vincere anche due classifiche cannonieri consecutive nel biennio ’10-’11), in tutti i modi possibili e immaginabili, e soprattutto in tutti i modi belli: tiri a giro, al volo e rasoterra; pallonetti impossibili; gol di rapina, da fuori aria, su punizione, su rigore. La sua specialità era diventata il gol in contropiede partendo da quella ‘maledetta’ fascia sinistra. Ecco, la sentenza era già passata in giudicato non appena Totò si trovava nell’uno contro uno sulla trequarti di campo. In un certo qual modo era come prevedere il futuro, così come prevedevano il futuro tutti i fantacalciofili che, avendolo contro al fantacalcio, iniziavano, se particolarmente inclini all’ottimismo, ad attribuirgli un +6: non erano piagnoni, erano soltanto realisti. Come detto, l’incantesimo ha esaurito la sua inerzia nel campionato 2014-15 (anno in cui Di Natale è riuscito, a 37 anni suonati, a timbrare il tabellino per ben 14 volte), così si spiega il campionato pressoché anonimo disputato quest’anno, in cui il tempo, dopo la sospensione, ha ripreso il suo corso. Come è giusto che sia. Anche perché è stato davvero galantuomo, visto che ha consentito ad un ragazzo napoletano affacciatosi alla massima serie all’età di 25 anni, di diventare un uomo da ben 209 gol in serie A. Perciò Totò ha salutato il calcio con emozione sì, ma anche senza rimpianti. E soprattutto non prima di aver segnato l’ultimo gol al Carpi.

Luigi Fattore

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