“Non è più domenica”

Fu come se una parte della mia vita mi fosse scivolata davanti. Come se in una banale domenica di maggio, qualcosa dentro di me si fosse staccata, eliminata, dissolta nel nulla. Come se tra le tante certezze, la più solida fosse volata via. Che non era più il tempo d’insistere e non c’erano più margini affinché restasse a farmi compagnia.

Fu come quando lei mi disse che sarebbe andata lontano, che l’avrebbe fatto presto. Ed io a rimuginare, a pensare, a dilaniarmi il fegato tra domande e pensieri. A tornare indietro tra i ricordi perché arrendermi era l’ultima cosa che avrei voluto. Ma come fai a sconfiggere il tempo?
Fu come quando sfrutti il passato per rivivere i bei momenti: quei pomeriggi in cortile, le rovesciate, la parata all’angolino. “Guarda, il tiro alla Del Piero”, e poi andavi di zampata come Pippo. Fu come se mi avessero detto una volta e per sempre che l’adolescenza, l’innocenza, la meravigliosa ingenuità del bambino ch’ero, era scomparsa. Anzi: me l’avevano tolta. Distrutta, annientata. Così, all’improvviso. Alle diciassette in punto di una domenica di maggio.

Il tempo è clamorosamente cinico. Scandiva la fine di una sfera immensamente significativa del calcio italiano e sembrava non risentirne affatto: quel 13 maggio del 2012 Alessandro Del Piero salutava l’amore di sempre; Pippo Inzaghi, Alessandro Nesta e Rino Gattuso chiudevano la loro carriera da campioni di tutto; Gianluca Zambrotta sgaloppava per l’ultima volta sull’out destro di un campo di calcio.

Era finita un’era. Era finita la mia era. Era finita l’epopea del fantacalcio da sceicchi, del “prendi chi vuoi, tanto ho Alex e Bobo davanti”. Del vantarci con gli amici di avere una bandiera a portata di domenica, di poterne ammirare bellezza, forza, carisma. Di poter credere che il tempo, in fondo, non sia capace di cambiare un bel nulla. Nemmeno loro, i tuoi idoli. Nemmeno noi, ragazzini in eterno.

Ingenuo, io. Ingenui, tutti. Perché il momento più lancinante è quando lo realizzi: e poi vai a spiegarle, le lacrime. Vai anche a razionalizzarle. Che quegli undici in campo non conoscono la tua vita, la tua storia, il tuo mondo. Ma che per te, invece, Del Piero è stato il cavaliere indomito della Signora, sceso poeticamente in Serie B quando c’era il mondo ai suoi piedi; Inzaghi, poi, l’emblema della furbizia, del vivere sempre al limite del fuorigioco, del crederci in ogni istante perché ogni attimo è buono per far gol. E ancora, quanto ha contato la grinta di Gattuso? Dio solo sa l’amore che ho provato per lui fino all’ultimo tackle. E poi la classe di Nesta: puntuale, preciso, d’una pulizia meravigliosa in ogni sontuosissima prestazione. Un po’ come Zambrotta: e le sue pennellate, la corsa, l’Ucraina.

C’è stato un attimo in cui ho guardato in alto, quel 13 maggio del 2012. Ho congiunto le mani e ho raccolto tutte le mie emozioni, tutti i brividi, tutte le volte che il calcio mi ha fatto urlare il loro nome. E sono stato felice. A tratti, incredibilmente sollevato.

Mi sono detto ‘fortunato’. E il ‘perché’ mi è stato chiaro sin da subito: ho vissuto l’era d’oro del mio calcio. Ho visto talenti forse irripetibili. Ho amato uomini oggi sicuramente inarrivabili.

Quel 13 maggio del 2012, una parte della mia vita era drammaticamente, irrimediabilmente, inconsolabilmente finita. E per quanto possa rimpiangere quei momenti, so per certo di aver saputo viverli a pieno. Giorno dopo giorno, giocata dopo giocata, anche lacrima dopo lacrima.
“Non è più domenica”, no. Ma sarà per sempre il mio gioco.

Cristiano Corbo

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