Lettera aperta al Gigi nazionale, da un sognatore che non vuole svegliarsi

Ciao Gigi, mi permetto di darti del tu anche se non ci conosciamo, perché immagino che tutti e due ci sentiamo a disagio con il lei. Sai, in tante cose ci assomigliamo: innanzitutto siamo molto vicini, perché tu frequenti molto spesso Forte dei Marmi, mentre io giro nella zona di Viareggio. Mia madre, che lavora in Versilia, spesso ti vede, quando sei lontano dai palloni e dalle telecamere. Io invece non ce l’ho mai fatta: l’unica volta che ho avuto la possibilità di trovarti in 3D ti eri fatto male, e non eri neppure in panchina. Mancava pure Del Piero in quell’Empoli-Juve finito 0-4.

Immagino che quando eri piccolo ti prendessero tutti in giro per il cognome: in fondo era un gioco da bambini dare del buffone ad uno che si chiama Buffon. Chissà se hai mai risentito qualcuno di quei bambini adesso. Io chiamandomi Dario, sono facilmente soggetto a giochini come dromeDario, calenDario, lampaDario… e la lista continua. La differenza è che nessuno adesso potrebbe azzardarsi a fare quei giochini, data la fama che hai accresciuto negli anni, e forse anche dati i tuoi 94 chili distribuiti in 191 centimetri di altezza. Io sono più alto e molto più magro di te, ma la maledizione dell’abbeceDario continuerà sempre.

Siamo due portieri: sappiamo cosa significa la solitudine, quando l’azione si svolge interamente dall’altra metà del campo e tu, egoisticamente, forse anche masochisticamente, vorresti che la tua squadra iniziasse a giocare male, così potresti subire qualche tiro e fare qualche bella parata. Sai che quando dietro di te le persone ti insultano, e si prendono gioco di te, bisogna guardare avanti e tapparsi le orecchie. Certo anche qui ci sono delle differenze: tu giochi nella Juve e nella Nazionale, hai vinto coppe, campionati e un mondiale. Io gioco nell’Abusivo F.C, e giusto un paio di giorni fa abbiamo perso 6-5 contro l’Aston Vigna. Per di più all’ultimo secondo.

Noi due siamo toscani, e come vogliono i peggiori luoghi comuni, dobbiamo essere simpatici a tutti (chissà perchè il toscano deve sempre apparire il buffone di turno?), bere la hoha-hola-hon-la-hannuccia e avere una malsana inclinazione verso il moccolo, arte in cui durante le partite eccelliamo senza alcun dubbio. Tu poi sei di Carrara, un luogo permeato dall’arte che trasuda dall’Accademia delle Belle Arti, e dovresti teoricamente avercela con i massesi, considerati un po’ i tamarri della Toscana. Io non ce l’ho con i massesi, ma effettivamente è facile incontrare da quelle parti macchine con interni zebrati e marmitte esagerate.

Ora la vedi così, ma una volta…

Abbiamo giocato entrambi nella Fossa dei Leoni, te la ricordi vero? Quel campo assurdo scavato sotto la strada, con le panchine e la tribuna in granito. Quando ci giocai la prima volta, metà campo era completamente ghiacciato, e quei poveri disgraziati che stavano in campo dovevano stare tutti nella parte sinistra del terreno di gioco, per evitare di scivolare e farsi male. Chissà quante volte sei stato lì, quanto freddo c’hai preso e quante volte sei uscito dal campo zuppo d’acqua e di fango.

Non so perché ho voluto provare a trovare delle somiglianze tra di noi: forse è bello sembrare simili ai nostri eroi, a quelli che ammiriamo da piccoli e che ci accompagnano durante la nostra vita. Quando muovevo i primi passi da portiere avevo 10 anni, tu eri a Parma, avevi ipotecato il posto in nazionale, e pensavo “un giorno voglio essere come lui”. La vita però non la scegli, è lei che sceglie te. Tu dovevi diventare quello che sei, perché altrimenti le cose sarebbero andate diversamente. Non saresti diventato Gigi Buffon, ma uno con un cognome buffo.  Non avresti vissuto il mondo. Non saresti diventato ispirazione per migliaia di ragazzini. Non avrebbero venduto migliaia di magliette col tuo nome dietro. Non mi avresti fatto urlare di pazzia alla parata a Zidane in quel di Berlino. Non mi avresti fatto comprare i guanti dorati come li avevi tu. Non saresti diventato il mio idolo.

Le generazioni che ci hanno preceduto sono cresciute con il mito dell’Italia campione del mondo del 1982, con Mazzola e Rivera, con Pelè, Cruyff, Beckenbauer e George Best. Noi abbiamo te. In questo mondo di svenduti, di fighette ambulanti che crollano al minimo contatto, di mercenari, di cinesi, di procuratori e di parolieri, noi abbiamo te. Magari c’è ancora qualcuno che ti da dello scommettitore, che dice che sei vecchio, che pensi solo alle donne, ma sai che dopo la partita si zittiscono tutti. Noi abbiamo Buffon, ancora. Nonostante tu sia arrivato a 39 anni, sei ancora qui.

Sarebbe troppo banale dirti di non smettere mai, ma sappiamo tutti che quel giorno arriverà. Chissà dove sarai quel giorno, se avrai la fortuna di Alex, se sarai nella tua Carrara, o se sarai in un qualsiasi e anonimo stadio di provincia. Sarà comunque un giorno in cui il calcio smetterà di avere un senso. Diventerà uno sport avulso, vuoto, pieno di calciatori forti e strapagati, ma mai capace di far sognare a tempo pieno. Questa generazione non è capace di prendere la tua eredità.

Auguri Buffon. Ci sono tanti Gigi in questo mondo, e su Google compari dopo Gigi Hadid e Gigi d’Alessio. Tu però non hai bisogno di essere specificato, loro sì.

Ps: e guardalo un rigore ogni tanto! Mica muore qualcuno se lo fai!

Con affetto, Dario Lombardi

Impostazioni privacy